Il magazzino Traccia 34 era freddo. Il silenzio che seguì la confessione di Beatrice e Giovanni era carico, come se il mondo intero trattenesse il respiro. Li fissavo. Il cuore gli martellava nel petto, ma la sua mente era gelida, razionale. «Non posso... Non posso aiutarvi.» Beatrice fece un passo avanti. «Marco, ascolta… non ti stiamo chiedendo di combattere. Solo di non tradirci.» Abbassai lo sguardo. «Se vi trovo io... vi posso almeno consegnare in modo indolore. Se vi trovano loro… vi faranno a pezzi.» Giovanni si irrigidì, gli occhi iniettati di rabbia. «Stai parlando di vendere due amici. Di condannare tutto il nostro popolo.» Non risposi. Uscì dal magazzino, mentre la voce di Beatrice gli tagliava le spalle come una lama: «Non ci stai salvando, Marco. Stai scegliendo la paura.» Due giorni dopo, la città era in stato d’assedio. I parassiti, localizzati da segnalazioni anonime e droni termici, venivano presi uno a uno. Alcuni cercavano di nascondersi, altri di fuggire. Nessuno riusciva a scappare. L’Operazione Zero era pienamente attiva. Il sergente Sam apparve al telegiornale, sorridendo sotto i baffi grigi: > «Abbiamo bonificato il 92% dei soggetti infetti. La guerra invisibile è stata vinta.» Guardavo il telegiornale in silenzio. Ero tornato a vivere la sua “normalità”. La città era sicura. Pulita. Sorvegliata. [[Inizio]]Il silenzio che seguì alla rivelazione fu pesante come piombo. Guardavo Beatrice e Giovanni. Non più con paura, ma con uno strano senso di protezione. Avevo mille domande, ma una sola certezza: non poteva lasciarli da soli. «Va bene», dissi alla fine, con voce ferma. «Vi aiuto. Insieme troveremo un modo per fermare questa follia.» Un sospiro di sollievo attraversò il volto di Beatrice. Giovanni annuì, teso ma sollevato. Poi, da fuori, si sentì un rumore. Un colpo secco. Poi passi. Due. Forse tre. Ma decisi. Addestrati. Giovanni fece cenno con la mano. «Nascondetevi!» [[Capitolo 8: Cani da caccia]]I tunnel sotto la torre erano umidi, antichi, costruiti con mattoni anneriti dal tempo. Luigi li guidava con passo sicuro, illuminando il percorso con la torcia da polso. Il silenzio era rotto solo dai loro respiri e dallo strano, lontano ronzio metallico che sembrava provenire dal fondo del corridoio. «È vicina», disse Luigi, fermandosi davanti a una grande porta di metallo, mezza arrugginita ma ancora imponente. «Dietro questa… c’è Clodia.» Inserì una chiave elettronica in un pannello segreto. Un click sordo. Poi la porta si aprì lentamente, con un sibilo. Ciò che videro tolse il fiato a tutti. L’interno era immenso, un’enorme caverna scavata sotto terra. Al centro, sospesa tra cavi e supporti metallici, c’era l’astronave Clodia: lucida, aliena, come scolpita da una materia sconosciuta. Era viva, e si sentiva. Marco si avvicinò lentamente. Le pareti della nave pulsavano con una luce tenue blu-violacea, e un suono profondo e ritmico — quasi un respiro — riempiva l’aria. «È… bellissima», sussurrò Beatrice. [[Traccia 43]]Il giorno dopo, il cielo era grigio e l’aria profumava di pioggia, ma non volevo passare il pomeriggio chiuso in casa. Verso le quattro, mandai un messaggio a Beatrice: «Ti va di fare un giro? Niente di speciale, solo... fuori.» Lei rispose dopo qualche minuto: «Va bene. Passo tra cinque minuti.» Camminammo senza meta tra le vie del quartiere, parlando poco ma senza disagio. Beatrice osservava ogni cosa con sguardo curioso, come se stesse esplorando un mondo nuovo. [[Traccia 18]]Era passato quasi un mese da quando mci eravamo conosciut, eppure sentivo che qualcosa stava cambiando. Non solo nei rapporti con Beatrice e Giovanni, che sembravano legarsi sempre di più — in un modo che sfuggiva alla logica — ma proprio nell’aria. La città più silenziosa. Alcune persone erano scomparse senza spiegazioni. E nessuno ne parlava apertamente. Quella sera, ero sul divano, a cenare distrattamente davanti alla TV. Il telegiornale stava per finire quando un servizio dell’ultima ora interruppe la programmazione. > “Ultim’ora: scoperta scientifica sconvolgente. Il professor Luigi Baresi, biologo molecolare e ricercatore del Centro Ricerche Genetiche del Nord, ha annunciato in una conferenza stampa segreta trapelata pochi minuti fa l’esistenza di organismi sconosciuti che vivrebbero da millenni tra gli esseri umani…” [[Traccia 21]]Due giorni dopo l’annuncio del professor Luigi, il mondo non era più lo stesso. Telegiornali, social, notizie in loop. Ovunque si parlava dei parassiti. La maggior parte della gente era spaventata. Alcuni gridavano alla cospirazione, altri invocavano il governo. Nessuno capiva davvero cosa stesse succedendo. Ma quella sera, durante l’edizione straordinaria delle 21:00, la paura prese una forma concreta. Ero seduto davanti alla TV con mio padre, che non diceva una parola. Mia madre aveva il telefono in mano, con la fotocamera puntata verso lo schermo, come a voler documentare qualcosa di irreversibile. [[Traccia 24]]Passarono appena tre giorni dall’annuncio dell’Operazione Zero. La città era cambiata. Pattuglie armate sorvegliavano gli incroci, posti di blocco venivano allestiti ovunque. I visori termici erano ovunque, appesi agli occhi dei soldati come maschere della verità. Ma non bastava. La sera del quarto giorno, una nuova trasmissione straordinaria interruppe i programmi in diretta. Stavolta l’atmosfera era ancora più cupa. Il volto del sergente Sam apparve di nuovo, ma il suo tono era diverso. Più diretto. Più aggressivo. > «Cittadini della Repubblica. L’Operazione Zero è attiva, ma i simbionti si nascondono bene. Troppo bene. È giunto il momento di coinvolgere anche voi nella difesa dell’umanità.» [[Traccia 28]]Era sera. Il cielo era pesante, come se sapesse cosa stava per succedere. Mi ero nascosto nel magazzino abbandonato dietro la vecchia stazione, dove io, Beatrice e Giovanni avevano deciso di incontrarsi. Nessun militare si avventurava lì: troppo polvere, troppa ruggine, troppi ricordi di qualcosa che ormai era morto. Beatrice fu la prima ad arrivare. Indossava un cappuccio, il viso semisepolto nell’ombra. Poco dopo entrò Giovanni, chiudendo la porta alle sue spalle. li fissavo, nervoso. «Cosa sta succedendo? Cos’era quel messaggio, ‘ti dobbiamo parlare’?» Beatrice si avvicinò lentamente. «Marco… non sei più al sicuro. E nemmeno noi. Ma tu meriti di sapere la verità.» «Quale verità?» chiesi, irrigidito. [[Traccia 31]]Ci rifugiammo dietro una parete di vecchi scaffali pieni di scatoloni arrugginiti. Il magazzino era buio, rotto solo da qualche fascio di luce gialla che filtrava dalle fessure delle finestre rotte. La porta si spalancò con un colpo metallico. Due figure entrarono lentamente, armi pronte, visori sugli occhi. Il primo alto, serio, occhi taglienti come coltelli. Il secondo più basso, con l’armatura messa male e un fucile tenuto quasi come fosse un ombrello. «Qui puzza di simbionte, Ryan», disse il secondo, con voce nasale. «O forse è solo il tuo deodorante militare.» Il primo non rise. «Lucenzo, smettila di parlare. Controlla dietro quei bancali.» Marco trattenne il respiro. Ryan. Lucenzo. I nomi pronunciati in tv. I nomi che Beatrice gli aveva detto: le punte della lancia del sergente Sam. Ora erano lì, a meno di tre metri. [[Traccia 38]]Decidiamo di tornare alla torre, il nostro unico rifugio. «Siamo sicuri che qui non verranno?» chiesi, ansimando. «I militari evitano quest’area, troppo instabile, troppo isolata. La torre non ha valore strategico… o almeno così credono», disse Giovanni. Risalirommo le scale di cemento fino al terzo piano, dove l’intonaco cadeva a pezzi e il vento fischiava tra le crepe.Spinsi una porta arrugginita. Dentro c’era buio, ma non eravamo soli. Una figura era lì, seduta su un vecchio tavolo rovesciato, con una torcia appoggiata accanto e una valigetta aperta piena di strumenti scientifici. Luigi Baresi. «Finalmente», disse l’uomo senza alzarsi. «Sapevo che sareste venuti qui.» Sussultai. «Professor Baresi?!» [[Traccia 41]]Mentre salivo le scale cigolanti della torre centrale, sentì un rumore leggero, come un passo furtivo. Pensando fosse un animale randagio o un altro curioso, accesi la torcia del cellulare e la puntai davanti a me. Lì c'era una porta che per accedergli serviva una password, ci sono diverse opzioni. [[Osservatorio]] [[Stelle]]La finestra e l'opzione giusta [[Continua]]La porta e bloccata, entra dalla finestra [[Entra dalla finestra]]Correvo, non per sport, non per passione. Correvo per sfuggire ai pensieri. Il sole stava calando dietro le case basse della periferia, tingendo il cielo di un arancione sporco. Le cuffiette mi sparavano una playlist malinconica nelle orecchie mentre svoltavo in un vicolo familiare, quello che portava verso il vecchio sentiero. [[Traccia 2]]Li noto che c'era una ragazza, «Ehi! Scusa se ti ho spaventata, non pensavo ci fosse qualcun altro qui», dissi con voce incerta. La ragazza si voltò lentamente, senza sussulti. Il suo sguardo era intenso, ma non spaventoso. «Non mi hai spaventata. Questo posto... mi fa sentire a casa.» [[Traccia 7]]Avanzai deciso, guardando Sam negli occhi. «Ti sconfiggerò Sergente Sam!.» Sam scagliò contro Marco una spranga, ma Marco schivò con agilità e rispose con un calcio ben assestato, facendolo indietreggiare verso il bordo del cratere. La lotta fu feroce, una danza di colpi e schivate, fino a quando Marco riuscì a spingere Sam in avanti. Con un ultimo sforzo, Marco spinse il sergente nel cratere, facendolo precipitare nel buio illuminato dalla luce aliena. Sam urlò, ma era finita. Marco rimase sulla sommità, ansimante, ma vivo. Nel frattempo, Ryan e Lucenzo, che erano arrivati con le truppe, assistettero alla scena. Ryan si tolse il casco, con uno sguardo che tradiva un misto di rispetto e riflessione. Si avvicinò a Marco. «Sam è caduto. Ora sono io a prendere il comando. Ma voglio fare le cose diversamente.» Marco lo guardò, sorpreso. «Come?» Ryan rispose: «Collaboriamo. Tu conosci la verità meglio di chiunque altro. Fermiamo l’Operazione 0 insieme. I parassiti non sono il nemico, ma possiamo trovare un modo per convivere.» Marco annuì, con un sospiro di sollievo. Beatrice e Giovanni, guardando la scena mentre decollavano con l'astronave Clodia Più tardi, Luigi Baresi divenne ufficialmente lo scienziato più famoso di Chioggia. Il suo lavoro con Clodia e la verità sui simbionti aprirono nuove strade per la scienza e la pace. La guerra era finita. E un nuovo capitolo per l’umanità e i suoi misteriosi alleati alieni iniziava. [[Inizio]]Lui le prese le mani, le strinse forte. «È l’unico modo. Lui non si fermerà mai. E se lo lasciamo salire… vi troverà ovunque andrete.» Luigi cercò di opporsi, ma Marco gli rivolse solo uno sguardo deciso. «Pensateci voi. Proteggeteli. E dite alla città… che non erano mostri.» Senza aggiungere altro, Marco si voltò e corse verso Sam, che stava per raggiungere il bordo del cratere. I due si lanciarono uno contro l’altro, senza armi. Solo rabbia e determinazione. Sam tentò di colpirlo con una spranga, ma Marco lo schivò e gli si gettò addosso, spingendolo all’indietro. Si aggrapparono, urlando, lottando, mentre dietro di loro l’abisso si apriva, illuminato dal bagliore blu dell’astronave in fase di decollo. Poi, Marco fece l’ultimo gesto. > Saltò. Portandosi Sam con sé. Un urlo. Una caduta. E silenzio. Il cratere si richiuse lentamente mentre Clodia si sollevava, lasciando solo il vuoto e la memoria di un gesto. Beatrice cadde in ginocchio, le lacrime agli occhi. Giovanni la strinse. «Ha salvato tutti. Ha salvato noi.» La nave si alzò nel cielo notturno, sparendo tra le stelle. I militari rimasti fuggirono. Alcuni si arresero. Ryan guardò la scena da lontano, il visore abbassato. Era immobile, pensieroso. Poi si voltò verso gli uomini superstiti e disse semplicemente: «Il sergente Sam è caduto in battaglia. Ora comando io. L’Operazione 0 è finita.» Lucenzo lo guardò sbalordito. «Aspetta… sei serio? Io pensavo che—» Ryan lo zittì con uno sguardo. «Vai a spegnere quella radio.» Da quel giorno, Ryan prese il controllo dell’unità militare, con un comando più sobrio, meno crudele. Non era un eroe, ma non era neanche un mostro come Sam. Luigi Baresi, invece, divenne una leggenda. Scoprì ufficialmente l’astronave Clodia, raccontò la verità sui simbionti e difese il sacrificio di Marco pubblicamente. Fu acclamato come il più grande scienziato di Chioggia, e la sua ricerca cambiò il modo in cui l’umanità vedeva sé stessa… e l’universo. Ma in qualche angolo del cielo, tra le stelle, Beatrice e Giovanni viaggiavano a bordo di Clodia. In cerca di un mondo dove poter essere finalmente liberi. Portando con sé il ricordo di un ragazzo che li aveva salvati. [[Inizio]]La password è errata, riprova [[Continua]]Iniziò a fare tardi ed io decisi di tornare a casa e notai che Beatrice mi stava seguendo, Un po' incuriosito le chiesi «ti serve qualcosa?», Beatrice rispose «no, niente mi sono appena trasferita e sto andando a casa», in preda alla sua curiosità le chiesi «per caso abiti in via Ezio Vanoni?» [[Traccia 11]]Beatrice mi fissò per un secondo, come se stesse cercando di capire se si potesse fidare Poi annuì lentamente. «Sì. Al numero 17.» Alzai le sopracciglia, sorpreso. «Davvero? Anch’io abito lì vicino. Al 19.» Beatrice accennò un sorriso sottile, quasi impercettibile. «Strano, no? Un incontro casuale… e poi scopri che la persona abita proprio accanto a te.» [[Traccia 12]]Alzai le sopracciglia, sorpreso. «Davvero? Anch’io abito lì vicino. Al 19.» Beatrice accennò un sorriso sottile, quasi impercettibile. «Strano, no? Un incontro casuale… e poi scopri che la persona abita proprio accanto a te.» Risi, cercando di alleggerire l’aria. «Forse il destino ha un senso dell’umorismo. O forse sei tu che mi stai pedinando.» Beatrice mi guardò, stavolta con uno sguardo più intenso. «E se fossi io il destino?» [[Traccia 13]]Risi, cercando di alleggerire l’aria. «Forse il destino ha un senso dell’umorismo. O forse sei tu che mi stai pedinando.» Beatrice mi guardò, stavolta con uno sguardo più intenso. «E se fossi io il destino?» [[Traccia 14]]Rimasi in silenzio per un attimo. C’era qualcosa nel tono di lei, nel modo in cui parlava. Come se ogni parola avesse un secondo significato. «Allora spero che tu sia un destino simpatico», disse, cercanvo di mascherare il leggero brivido che mi era corso lungo la schiena. Camminarono fianco a fianco per un pezzo, in silenzio, con solo il rumore dei loro passi e il vento tra gli alberi. «Hai già visto la scuola?» chiese Marco, per rompere la tensione. «Solo da fuori. Mi sembrava… uguale a tutte le altre», rispose Beatrice con distacco. [[Traccia 15]]«Lo è. A parte la mensa, quella è un’esperienza quasi paranormale.» Lei rise. Una risata breve, secca, ma vera. Arrivati al bivio della via, dove i lampioni iniziavano a tremolare fiocamente nel crepuscolo. «Quindi domani… ti accompagno io?» le preposi, quasi senza pensarci. [[Traccia 16]]Beatrice esitò un istante, poi fece un cenno con la testa. «Va bene. Ma non aspettarti che io parli molto la mattina.» «Nemmeno io. Al massimo ti offro un cornetto se sei fortunata.» «Vedremo se te lo meriti», concluse lei, mentre entrava nel cancello del numero 17. La osservai sparire dietro la porta. Solo quando fui solo sulla soglia di casa sua, mi resi conto che avevo il cuore che batteva più forte del normale. E non solo per l’emozione. C’era qualcosa in quella ragazza che non riuscivo a decifrare. Come un sussurro che ti sfiora la mente e poi sparisce prima che tu possa afferrarlo. Ma era solo l’inizio [[Capitolo 3: Incontri]]Arrivati vicino al vecchio campetto da basket, una voce ci chiamò: «Oh, guarda chi c’è!» Era Giovanni, con la sua solita felpa rossa e l’espressione rilassata. Si avvicinò con passo lento e sicuro. «Bea, ti presento il mio migliore amico: Giovanni. Giò, lei è Beatrice… si è trasferita da poco.» Giovanni fissò Beatrice per un attimo. Un attimo troppo lungo. Ma poi sorrise. «Piacere. Benvenuta nel posto più noioso della Terra.» Beatrice lo studiò con attenzione, poi annuì. «Grazie. Ma per fortuna, la noia è relativa.» [[Traccia 19]]Osservavo i due: c’era una strana tensione, qualcosa di sottile. Non ostile, ma… come se si fossero già incontrati. O riconosciuti. Giovanni tornò a guardarmi. «Ci vediamo stasera online? Ho trovato una roba strana da mostrarti.» «Ci sentiamo dopo, dai», gli dissi. Giovanni fece un cenno con la testa e si allontanò. Beatrice mi seguì con lo sguardo finché scomparve dietro l’angolo. «Lo conoscevi già?» gli chiesi, più per istinto che per reale sospetto. Beatrice si voltò verso di me, con il solito mezzo sorriso enigmatico. «No. Ma certe persone… si capiscono al volo.» [[Capitolo 4: l'annuncio]]Era l’ultima sera prima dell’inizio della scuola. Quella sensazione sospesa, tra la fine e l’inizio, mi faceva impazzire ogni anno. I miei amici erano sparsi: chi in vacanza, chi online, chi in silenzio radio da giorni. Solo Giovanni, il mio migliore amico, continuava a scrivermi, anche se da un po’ sembrava… diverso. [[Traccia 3]]Mi raddrizzai sul divano. Sullo schermo comparve un uomo di mezza età, capelli disordinati, occhiali spessi e una giacca troppo larga. Parlava davanti a microfoni improvvisati, con il volto teso. > “Non sono virus, non sono batteri. Sono entità simbiotiche. Li chiamiamo parassiti cognitivi. Non distruggono l’ospite… lo condividono. Alcuni umani li ospitano da generazioni senza nemmeno saperlo. Ma ora… si stanno risvegliando.” [[Traccia 22]]Il telegiornale proseguì con immagini sfocate, analisi caotiche e dichiarazioni confuse. Il governo non confermava né smentiva. Alcuni medici gridavano alla bufala, altri parlavano di “una nuova era della biologia”. Ma non ascoltai più. Avevo freddo, anche se la stanza era calda. Perché nel momento in cui il professor Luigi aveva detto quelle parole, il suo pensiero era andato dritto a due persone. Beatrice e Giovanni. [[Capitolo 5: Operazione 0]]Lo schermo si oscurò per un istante. Poi apparve un uomo in divisa, circondato da due soldati armati. Sul petto portava un nome: Sergente Sam. > «Cittadini della Repubblica. In seguito alle rivelazioni del professor Luigi Baresi e al crescente rischio biologico rappresentato da soggetti infetti da entità aliene, il governo ha autorizzato l’attivazione dell’Operazione Zero.» Silenzio. Poi continuò, con tono glaciale: > «L’obiettivo dell’Operazione Zero è semplice: identificare e neutralizzare gli esseri umani contaminati da questi parassiti. Le nostre forze speciali dispongono ora di visori termici avanzati, capaci di rilevare l’attività neurale anomala prodotta dai simbionti. Le unità saranno operative in tutte le principali città entro 48 ore.» [[Traccia 25]]Le immagini sullo schermo mostrarono soldati con caschi neri e visori sugli occhi, che si muovevano in formazione in una metropoli già semideserta. > «Questi esseri potrebbero sembrare umani, agire come voi, parlare come voi. Ma non lo sono. L’umanità deve proteggersi. Nessun parassita sarà tollerato. Nessuna eccezione.» Sentivo il battito accelerare. Nella mia mente, il volto di Beatrice. E poi quello di Giovanni. Il sergente Sam terminò il discorso con una frase che fece gelare il sangue a chiunque la stesse ascoltando: > «Chiunque ospiti o nasconda un infetto… sarà considerato complice.» [[Traccia 26]]Lo schermo tornò al logo della trasmissione. Nessuno in casa parlava. Solo il ronzio basso del televisore. Mi alzai lentamente, presi il cellulare e scrissi a Beatrice: «Hai visto il telegiornale?» Tre puntini comparvero, poi sparirono. Poi riapparvero. «Sì. Dobbiamo parlarne. Subito.» [[Capitolo 6: Cacciatori di taglie]]La telecamera si avvicinò, stringendo sul volto impassibile del sergente. > «Chiunque individui un soggetto infetto, o sospetti una contaminazione, è tenuto a comunicarlo immediatamente alle autorità militari. Abbiamo istituito un sistema di segnalazione anonima e veloce, accessibile da qualsiasi dispositivo.» Poi apparve sullo schermo un simbolo nero: una P stilizzata in un cerchio rosso — il nuovo logo per identificare i parassiti. > «Chi collabora riceverà una ricompensa in denaro. Mille crediti per ogni segnalazione confermata. Cinquemila per la cattura diretta. La vostra lealtà sarà premiata. Il vostro silenzio… no.» [[Traccia 29]]Immediatamente dopo, le immagini mostrarono persone con volti sfocati che venivano premiate da soldati, come in uno spot pubblicitario distorto. File di cittadini si accalcavano agli sportelli per denunciare perfino i propri vicini. Fissai lo schermo con la mascella tesa. Il messaggio era chiaro: chiunque poteva diventare una minaccia. Anche un amico. Anche la tua famiglia. Nel gruppo privato che aveva con Beatrice e Giovanni, arrivò un messaggio secco da quest’ultimo: «Ci stanno mettendo una taglia sulla testa. Ora non siamo più solo nemici. Siamo prede.» Sentivo il peso della realtà schiacciarmi il petto. Non potevo più restare a guardare. Era tempo di scegliere. [[Capitolo 7: La verità sotto pelle]]"Ti va di salire al solito posto?", mi aveva scritto Giovanni quel pomeriggio. Ma poi, come spesso accade ultimamente, aveva cancellato il messaggio senza inviarlo. [[Traccia 4]]Fu Giovanni a parlare stavolta, la voce bassa ma ferma. «Io e Beatrice… non siamo esattamente come te. Non siamo del tutto umani.» deglutii, incredulo. «State scherzando, vero? Perché se è uno scherzo non fa ridere.» Beatrice alzò lentamente la mano, e per un attimo la pelle sul dorso si mosse, come increspata da dentro. Solo per un secondo, poi tornò normale. «Cosa… cos’è quello?» sussurrai facendo un passo indietro. «È… parte di noi», disse lei. «Siamo ospiti. Ma anche padroni. I parassiti — o simbionti, come li chiama Luigi — non ci controllano. Vivono con noi. Dentro di noi. E noi li accettiamo.» [[Traccia 32]]Giovanni fece un passo avanti. «Non siamo pericolosi, Marco. Non siamo dei mostri. Ma ora siamo i nemici, e ogni persona là fuori è pronta a venderci per mille crediti.» Li guardai, diviso tra paura e confusione. Mille pensieri mi attraversavano la mente: le loro stranezze, gli sguardi che si erano scambiati, le risposte vaghe… ora tutto aveva un senso. «Perché non me l’avete detto prima?» chiesi, con la voce incrinata. «Perché speravamo che non sarebbe servito», rispose Beatrice, «che avremmo potuto vivere una vita normale. Ma il tempo è finito, Marco. Adesso dobbiamo scegliere da che parte stare.» [[Traccia 33]]Rimase in silenzio. Guardavo due dei suoi amici più stretti… e improvvisamente non sapevo più chi fossero. Ma una cosa era certa: il mondo là fuori voleva vederli morti. E qualcosa mi diceva che loro non erano il vero male. [[Aiutali]] [[ Non aiutarli]]Lucenzo si avvicinò al lato opposto dello stanzone, mugugnando: «Sai, Ryan, a volte mi chiedo… se ci pagassero anche solo per i chilometri che facciamo, sarei milionario.» Ryan non rispose. Si avvicinò a un tavolo rovesciato, ispezionandolo lentamente. «Due firme neurali anomale rilevate», disse a bassa voce, toccando un display sul braccio. «Erano qui. Da poco.» «Magari si sono sciolti nell’aria», sussurrò Lucenzo con sarcasmo. Poi si mise serio per un istante. «Che facciamo se li troviamo? Uccidiamo subito o li portiamo vivi?» Ryan rispose senza esitazione: «Ordini del sergente. Se reagiscono, si eliminano. Se cooperano, si catturano. Ma tu… non sparare a caso come l’ultima volta.» «Oh, dai, quel cane sembrava un simbionte!» protestò Lucenzo. [[Traccia 39]]Ryan si girò verso di lui. «Era un barboncino.» Intanto, dietro agli scaffali, cercavo di non tremare. I miei occhi incrociarono quelli di Beatrice. Nessuno parlava, ma ci capivamo: se li avessero trovati, era finita. Dopo qualche istante, Ryan fece un cenno con la testa. «Andiamo. Qui non c’è più niente.» «Per fortuna… stavo per morire d’ansia… o di tetano», borbottò Lucenzo mentre uscivano. Il rumore dei passi si allontanò lentamente. Poi… silenzio. Uscii per primo, con il cuore in gola. «Dobbiamo cambiare posto. Subito. Non è più sicuro.» Beatrice annuì. Giovanni già controllava l’uscita posteriore. La caccia era ufficialmente iniziata. [[Capitolo 9: Sotto la torre]]Avevo deciso di andarci da solo. Il vecchio osservatorio era in cima a una collina brulla, circondato da pini e silenzio. Era un posto perfetto per stare lontano da tutto, per pensare, o per non pensare affatto. Nessuno lo frequentava più, tranne da me. [[Entra dalla finestra]] [[Entra dalla porta]]Luigi si alzò lentamente, e nella torcia si vide il suo volto segnato, stanco, ma vigile. Non indossava più il camice, ma una giacca militare aperta sopra un maglione grigio. «Cosa ci fa qui?» chiese Beatrice, guardandolo con sospetto. «Vi sto aspettando», rispose Luigi. «Ho lasciato i militari due giorni fa. Da quando hanno iniziato a sparare su civili, bambini, donne non potevo più restare con loro. Il sergente Sam ha completamente perso il controllo.» Feci un passo avanti. «Perché proprio qui?» Luigi guardò in basso, verso il pavimento. «Perché sotto questa torre, sepolta da settant’anni, c’è ciò che ha dato inizio a tutto: l’astronave Clodia.» Un silenzio irreale cadde nella stanza. [[Traccia 42]]«Aspetti… cosa?» chiese Giovanni. «Clodia? È vera?» Luigi annuì. «È reale. E viva. Atterrò qui milioni di anni fa. Poi, nel ’52, un’esplosione sigillò tutto nel sottosuolo. I parassiti… o simbionti… vengono da lì. Sono un’estensione dell’intelligenza aliena di Clodia. E vi dico di più: non è solo un’astronave. È anche una coscienza. Una mente.» Mi sentivo come se il mondo mi fosse crollato sotto i piedi. Tutto ciò che credevo fantascienza era ora davanti ai miei occhi. E sotto i miei piedi. Beatrice si avvicinò. «Possiamo entrarci?» Luigi guardò un piccolo dispositivo che aveva al polso. «Se ci muoviamo ora… sì. I tunnel non sono crollati del tutto. Ma dobbiamo fare in fretta. I militari stanno triangolando segnali di calore. Non ci metteranno molto ad arrivare anche qui.» Strinsi i pugni. «Allora andiamo. Scopriamo cosa c’è là sotto. E forse… troviamo un modo per fermare Sam.» [[Capitolo 10: La voce di Clodia]]«E anche l’unica possibilità che abbiamo», aggiunse Giovanni. Luigi si avvicinò a un pannello olografico che si era attivato con la loro presenza. «La nave riconosce la biostruttura dei simbionti. Forse possiamo interfacciarci… persino farla partire.» I tre parassiti — Beatrice, Giovanni e in parte Marco, che ora si sentiva parte del loro destino — posero le mani sul pannello. Le luci si intensificarono. Clodia si stava svegliando. Ma proprio in quel momento, un grido metallico rimbombò nei corridoi del tunnel. > «FERMI DOVE SIETE!» [[Traccia 44]]Marco si voltò di scatto. Un fascio di luce rossa illuminò l’ingresso del tunnel. Il sergente Sam. In armatura completa, visore acceso. Dietro di lui: Ryan, con fucile pronto, e Lucenzo, che si guardava intorno come se stesse cercando un bagno. > «Ve l’avevo detto che ci stavano portando da qualche parte strano», borbottò Lucenzo. «Ma no, nessuno ascolta Lucenzo…» «Zitto», ringhiò Sam. «Luigi Baresi. Traditore. Ragazzini. Simbionti. E questa… questa è la vostra salvezza? Una carcassa aliena sepolta sotto la polvere?» Luigi si piazzò davanti a Marco. «Clodia può salvarci tutti! Può invertire il processo, creare una convivenza!» «Convivenza?» sputò Sam. «Non c’è convivenza con i parassiti. Solo sterminio.» Ryan alzò l’arma. Marco si mise davanti a Beatrice d’istinto. > «Tu non capisci», disse Marco. «Non sono loro il problema. Sei tu. Sei tu che hai trasformato questa guerra in caccia. [[Traccia 45]]Sam fece un passo avanti, pronto a dare l’ordine. Ma Clodia emise un suono acuto. Una vibrazione strinse l’aria. Il pannello tornò attivo. Le luci diventarono rosse. Qualcosa si stava risvegliando. Beatrice sussurrò: «Ci ha riconosciuti…» Sam gridò: «RYAN! FUOCO!» Ryan alzò l’arma, ma esitò. Il suo sguardo passò da Marco a Clodia. Poi a Sam. Lucenzo invece… si spaventò, inciampò, prese la mira a caso… e sparò contro il soffitto. Un’esplosione. Detriti. Polvere. Il tunnel tremò. Luigi urlò: «Sta crollando tutto! Nella nave, subito!» Marco afferrò Beatrice. Giovanni trascinò Lucenzo per un braccio, mentre quest’ultimo gridava: > «Ma io non volevo! Giuro, ho solo toccato un bottone!» Sam e Ryan sparirono dietro un’esplosione di fumo e calcinacci. La porta della nave si aprì con un suono profondo e organico. > Clodia li aveva accolti. E il destino dell’umanità era ormai scritto nelle sue vene. [[Traccia 46]]Una volta scesci nel tunnel sottostante il magazzin era lì, ancora conservata nel suo stato originale, la nave Clodia era viva. Le sue pareti pulsavano di luce e il suono della sua energia scuoteva i tunnel come un cuore alieno in piena fibrillazione. Ma il tempo stava finendo. All’esterno, i detriti del soffitto ancora fumavano. Poi, una mano metallica uscì dalle macerie. Poi un’altra. Un urlo rauco ruppe il silenzio. Sergente Sam era vivo. Il suo visore era rotto. Parte dell’armatura strappata. Sangue colava da una ferita sulla fronte, ma il suo sguardo era ancora feroce. Bestiale. > «BARESI! MARCO! VERMIIIII!» [[Traccia Finale]]Fu una frase strana, detta con naturalezza. La fissai, incuriosito. «Davvero? Di solito le persone trovano questo posto inquietante. Io mi chiamo Marco, comunque.» [[Traccia 8]]Lei esitò un attimo, come se dovesse scegliere con attenzione le parole. Poi sorrise. «Io sono Beatrice.» [[Traccia 9]]Passarono quasi due ore lì, a parlare di tutto: stelle, sogni, silenzi e città. Lei era brillante, ironica, a tratti distante, come se stesse misurando ogni gesto, ogni parola. Ma io sentivo qualcosa di autentico, anche se non riuscivo a spiegarlo. [[Traccia 10]]Clodia aveva aperto un portale di accesso profondo nella terra. Un cratere si era formato sotto l’astronave, da cui stava emergendo una piattaforma per la partenza. Era l’unico punto debole, e Sam lo sapeva. Mi fermai. Guardai Beatrice. Lei capì subito. «No, Marco. No. Non farlo.» [[Sacrificati]] [[Prova a sconfiggere Sergente Sam]]